Alla ricerca del mistero delle malte romane
Forse tutto cominciò con lo stravagante Signor William Champion, uno dei più importanti produttori di bronzo, rame e zinco. Il Champion, nel 1750, costruì per sé un’enorme edificio di fronte al quale, in mezzo ad un lago, eresse una ciclopica statua di Nettuno, completa di corona e tridente, presumibilmente composta con un calcestruzzo di calce e scorie di rame.
Processo di lavorazione dello zinco di William
Champion
Nel 1768 l’eclettico “scultore” fallì, e della sua creatività non lasciò altra traccia, ma a Warmley, vicino a Bristol, il suo Nettuno ancor oggi accampa in tutta la sua mole.
Nel 1756, a John Smeaton (qui sotto), un ingegnere di Leeds, fu commissionato la costruzione del terzo faro sulla rocca di Eddystone, situata sulla Manica a quattordici miglia a sud-ovest di Plymouth.
Poiché i due precedenti fari, costruiti in legno, erano
stati inceneriti da un incendio e spazzati in mare da un furioso fortunale, lo
Smeaton progettò di costruire la nuova struttura usando conci di pietra.
Subito si presentò il problema, però, su come serrare
assieme i singoli elementi litici in modo da formare una struttura solida e
monolitica.
I cementi reperibili nel 1756 erano deboli e a presa
troppo lenta; e, poiché i blocchi sarebbero stati costantemente a contatto col
mare, il cemento sarebbe stato inevitabilmente dilavato prima di indurire.
Lo Smeaton decise di indagare sulle proprietà delle malte
provando differenti prodotti reperibili sututto il territorio sull’Isola. Il suo interesse fu attratto da un
composto di calce di Aberthaw (blue lias) delSud del Galles e pozzolana fatta arrivare dalla romana Civitavecchia.
Quando i due elementi furono rimestati assieme sembrò che la malta avesse particolari proprietà di presa anche sott’acqua. Probabilmente lo Smeaton sperimentò qualcosa di simile ad un Opus Caementitium romano.
La ricerca sulle malte, da parte dell’ingegnere, elaborata nel secchiajo di cucina, fu talmente varia e serrata, che vent’anni più tardi volle sperimentare particolari innovazioni ricostruendo il medesimo faro dopo che questo aveva dato chiari segni d’indebolimento.
Durante i suoi studi lo Smeaton deve aver sicuramente tenuto conto d’una teoria divulgata a quei tempi da un eclettico ricercatore francese, un certo M. Loriot. Nel 1770, il Loriot, primo meccanico di sua Maestà Luigi IV, pose quest’intrigante quesito: “Come si spiega che i romani abbiano costruito l’acquedotto, conosciuto col nome Pont du Gard, nelle prossimità di Nimes, senza far uso di pozzolana? Se hanno usato esclusivamente calce grassa, come è possibile che abbiano messo in uso l’acquedotto senza veder la calce dilavarsi?”. Eppure l’incredibile opera è arrivata fino a noi in tutta la sua possanza.
Pont du Gard, Nimes
Il celeberrimo Loriot, era convinto che i romani tenessero in segreto un metodo di preparazione delle malte “acquatiche” e che non lo volessero divulgare. Così, nelle Mémoire sur une découverte dans l'art de bátir, faite par le Sr. Loriot, Mécanicien, Pensionnaire du Roi. A Paris, 1774, si impara sulla scoperta del geniale Loriot.
"Il signor Loriot, dopo aver esaminato quasi tutto ciò che i Romani hanno lasciato in Francia, si è intimamente convinto che essi non impiegavano materiali diversi da quelli di cui noi ci serviamo; che la calce, la sabbia, il cocciopesto, ed altre materie di questa specie, ottenevano da soli la perfezione di questi composti, ma che essi avevano un altro metodo rispetto al nostro nella manipolazione e la preparazione".
Dopo una lunga discussione su i passi di Plinio e di Vitruvio riguardanti il grassello, e constatato che in Francia non era stata usata la pozzolana, il signor Loriot ha fatto una serie di esperimenti che lo hanno portato nell'estate, del 1770, ad un’importante scoperta: “I romani, in mancanza di pozzolana, aggiungevano alle zolle di calce, bagnate nelle fosse, una precisa quantità di calci viva in polvere, la quale conferiva al grassello inspiegabili caratteristiche d’idraulicità”. La presa della calce, così preparata, sembrava più acquatica che aerea.
Benché molti a quel tempo dettero credito al metodo di Loriot, questa pratica fu abbandonata e si tornò a meditare sul binomio calce-pozzolana. Ma ormai il Loriot aveva lasciato il segno.
Lo Smeaton volle trasmettere questa sua esperienza
scrivendo un libro intitolato “A narrative of the Eddystone
Lighthouse”, il manoscritto del quale fu acquistato casualmente, in un
mercatino, da un muratore di Leeds: un certo Joseph Aspdin.
Tale scritto deve aver impressionato l’Aspdin non poco;
egli, infatti,iniziando dalle
conclusioni a cui lo Smeaton era arrivato, mosse ulteriori incerti passi verso
la scoperta di un nuovo cemento.
Il faro di Eddystone
Verso la fine del ‘700 ci fu una vera e propria corsa mirata a scoprire il mistero delle malte romane. Chiunque fosse coinvolto nella progettazione o nella costruzione di nuovi edifici, si impegnò strenuamente per chiarire come mai alcune calci lasciate a macerare nelle fosse vi si mantenevano quasi in eterno sotto forma di grassello, mentre altre, poste nello stesso ambiente, dopo breve tempo, pur mantenute sott’acqua, serravano in una inspiegabile presa.
Fu il Reverendo James Parker, durante una passeggiata, ad essere attratto da particolari pietre che giacevano qua e là sulla spiaggia dell’Isola di Sheppey. Egli raccolse alcune di quelle pietre e senza nessuna particolare intenzione, le portò a casa e le calcinò in un piccolo forno. Egli, involontariamente forse, sperimentò e sviluppò un nuovissimo legante, che brevettò nel 1796 con il nome di “Cemento romano”. Parker chiamò “romano” il suo legante convinto che questo fosse realmente la risposta alle ricerche sul mistero delle malte latine. Benché il nuovo legante fosse additivato con discrete quantità di gesso, per migliorarne la presa, e polvere di mattone per far apparire il colore della malta d’un rosso cupo, che ricordava in qualche modo il bruno delle malte pozzolaniche romane, la soluzione era ben lontana da ciò che sarebbe accaduto più avanti.
Il lavoro del Parker ed i risultati di Edgar Dobbs, che
già vantava un brevetto, depositato nel 1811, ispirarono ad Aspdin la via per
la produzione del primissimo cemento Portland.
Non c’è da stupirsi che appena il brevetto Dobbs, che era
composto di calce, argilla e polvere di strada, arrivò alla scadenza, Aspdin si
presentasse il 21 ottobre 1824, negli uffici deputati, per un brevetto tutto
nuovo su un “legante di primissima qualità color della pietra di Portland”.
Il cemento Portland fu così chiamato incidentalmente in
quanto i manufatti composti con questa materia, una volta essiccati, assumono
il peculiare color bigio-perla tipico della pietra di Portland e non, come
spesso la gente crede, perché il cemento fu inventato a Portland o perché fu
ideato da un improbabile ingegner Portland.
A leggere il brevetto 5022 del 1824, rilasciato in nome di
sua Maestà Giorgio IV, su ornatissime carte, si comprende come Aspdin non
avesse del tutto intuìto quali potessero essere le potenzialità della sua
proposta: sembra piuttosto che egli proponesse il suo legante come un ottimo
elemento per confezionare intonaci per coprire strutture in mattoni in modo da
farli sembrare blocchi monolitici di pietra di Portland.
Fu il maggiore ingegnere civile dell’epoca, Brunel, a introdurre il legante di Aspdin sul mercato: egli infatti, nei capitolati per la costruzione del Tunnel sotto il Tamigi, preferì il Portland al più comune “cemento romano” del Parker, nonostante quest’ultimo legante costasse la metà del primo.
Evidentemente la “migliore qualità” lo convinse sino a
fargli operare una scelta definitiva.
Come in tutte le cose il caso gioca sempre un
ruolo determinante: nel 1847, il figlio di Joseph Aspdin, William, si mosse
verso Northfleet dove costruì un nuovo forno, per la produzione di Portland,
che ancor oggi sopravvive.
Forno di J. Aspdin
Un giorno, nel 1848, come sempre accadeva, l’intero carico di cemento, fu sfornato dalla nuova fornace e fu imbarcato su di una chiatta, in botti di legno, per raggiungere il delta del Tamigi, quando, in prossimità di Sheerness - sull’isola di Sheppey - accidentalmente fu travolta da una bufera di vento, incagliandosi a riva. Gli abitanti del luogo, credendo che le botti contenessero whisky, si affrettarono a recuperarle dalla stiva in cui giacevano coperte d’acqua. Portate le botti in secco, una volta aperte, con sorpresa, s’accorsero di essere in presenza di cemento che aveva fatto immediata presa. Sfasciate le doghe delle botti, i locali recuperarono gli inusuali conci di Portland e con questi costruirono le mura di un pubblico edificio, che ancor oggi si può ammirare.
Nel 1860 William Aspdin si trasferì in Germania per costruire una nova fornace e li vi morì quattro anni più tardi.
Partendo dalle esperienze, fino a quel momento acquisite, il processo di produzione del Portland fu modificato e perfezionato da Isaac Johnson, il quale aveva rilevato, nel 1856, un forno abbandonato da Aspdin figlio. Il Johnson introdusse nel processo di produzione un nuovo determinante elemento: l’alta temperatura di cottura. Grazie a questa innovazione molti sono convinti che il vero padre del cemento Portland sia stato proprio il Johnson.
Nonostante agli inizi del Novecento il cemento fosse ancora materia di studi e perfezionamenti da parte di I.C. Johnson, i risultati erano tali, che il vecchio studioso, alla veneranda età di 101 anni, nei suoi appunti, con una malcelata punta d’orgoglio, affermava che il cemento di Aspdin, a confronto del suo, “sembrava tenero formaggio”.
In conclusione, come si può vedere, l'invenzione e l'uso del moderno cemento è cosa dei nostri giorni: infatti, il primo vero cemento viene prodotto da Johnson nel 1844 in Inghilterra, ma rapidamente le industrie cementiere si diffondono in tutto il mondo, grazie anche all'invenzione del forno rotante, proprio nello stesso anno.
La prima fabbrica italiana compare a Palazzolo sull'Oglio nel 1870, circa all'epoca in cui si scopre la possibilità di migliorare le prestazioni del legante con le scorie d'altoforno granulate. Nel 1905 viene prodotto il cemento ferrico, detto "Ferrari". Più o meno nello stesso periodo viene prodotto il primo cemento bianco. Nel 1908 viene proposto il cemento pozzolanico e nel 1912 appare il primo cemento alluminoso.
Col correr degli anni, sino ai nostri giorni, si sono viste fiorire industrie che hanno prodotto ogni sorta di cemento o legante idraulico artificiale, che con la loro rapida diffusione, ed improprio uso, hanno ridotto la millenaria cultura della Calce, e la tradizione che ad essa s'accompagna, ad un ameno argomento di disquisizione per pochi esperti ed una velata memoria museale per tutti coloro che sono chiamati al suo uso nel mondo del restauro.