Della presa e dell'indurimento delle calcine
Il tempo di presa delle calcine è molto breve e consiste semplicemente nel tempo in cui la calcina si asciuga e perde parte dell'acqua che è servita ad impastarla.
L'indurimento è un processo chimico che dura di gran lunga di più. Tale processo, conosciuto con il nome di carbonatazione, consiste nell'assunzione dell'anidride carbonica (CO2), che si trova nell'aria, da parte dell'idrato di calcio [Ca(OH)2], che è il grassello medesimo.
Come ebbi a dire, durante la calcinazione del calcare nei forni, questo perde, per effetto della temperatura, l'anidride carbonica in esso contenuto, mutando il carbonato in ossido di calcio. Ora, l'assunzione di anidride carbonica da parte dell'idrato di calcio, nel tempo, cambierà la calce in carbonato di calcio, ovvero la stessa materia di cui era costituito il sasso che avevamo raccolto nel fiume o nella cava.
Durante il processo di carbonatazione ha luogo una reazione per cui vi è sviluppo d'acqua; ed è per ciò che le malte e gli intonaci, che sono ancora soggetti al fenomeno di carbonatazione, rimangono umidi per lungo tempo, subendo peraltro una apprezzabile diminuzione di volume se non vi fosse la sabbia ad impedirlo.
Si noti poi, che in mancanza di sabbia, la calce mutata in carbonato di calcio sarebbe così compatta da impedire la penetrazione dell'anidride carbonica al suo interno ed il prosieguo del processo di indurimento negli strati più intimi dei manufatti. La presenza della sabbia nell'impasto della malta, da un lato limita il ritiro delle malte durante l'essiccamento, dall'altro mantiene la malta adeguatamente porosa da permettere una buona carbonatazione nell'intero suo spessore.
D'altro canto però, una malta troppo porosa, anche se totalmente indurita, risulterà alla fine troppo debole; da ciò la necessità di ben scegliere il giusto rapporto fra calce e sabbia.
Bisogna inoltre tenere ben a mente, che l'acqua usata per impastare le malte non è un elemento che serve meramente a facilitarne l'opera di rimestamento: la sua quantità è di massima importanza, come lo sono le giuste quantità di calce e sabbia. Di fatto, l'anidride carbonica agisce con l'idrato di calcio quando questo si trova in soluzione satura nell'acqua e giammai quando questo non ne è disciolto.
Da questa considerazione ben si comprende quanto sia allora necessario abbondantemente bagnare i mattoni prima di porli in opera: i mattoni asciutti sottraggono velocemente acqua alle malte arrestando così il fenomeno di carbonatazione e di indurimento proprio laddove v'è contatto fra malta e mattoni.
Il fenomeno di carbonatazione procede dall'esterno verso l'interno, ed allorquando anche l'acqua prodotta dalla reazione sarà completamente evaporata, l'indurimento si arresta e la malta dicesi morta.
I forni e la calce d’oggi - E’ opinione comune che le calci prodotte oggi siano di qualità inferiore a quelle prodotte nel passato. Mi dispiace disilludervi, ma la calce è calce, e se ha tutte le prerogative fisico-chimiche per essere usata secondo la tradizione, non si può dire che non sia come quella materia “grassa e untuosa” che usavano i nostri predecessori. Anzi, diremo che la calce sfornata dalle fornaci moderne è talvolta migliore di quella che, nel passato, veniva prodotta negli affascinanti forni di Catone. Ciò vale anche per le considerazioni sulle pietre da calcina.
Consulta la Biblioteca Storica dell’Accademia: Vincenzo Scamozzi [15_SA_1]
La formazione organogena dei carbonati di calcio si basa sul fatto che molti esseri viventi compongono di calcio il loro guscio o scheletro. Dopo la morte degli organismi i resti di depongono sul fondo dei mari e dopo la decomposizione dei componenti organici, sul fondo degli oceani, formano sedimenti spesso di grande estensione e spessore. La melma così formata (detta globigerina) copre oggi il 37,4% del fondo del mare, il che corrisponde mediamente al 25,2% dell’intera superficie terrestre. Le rocce calcaree delle placche tettoniche emergenti sono quindi costituite in gran parte da resti di conchiglie.
Nei moderni forni verticali, di tipo tradizionale, la usuale pezzatura del calcare immesso nei forni è ordinariamente ristretta nella banda granulometrica che va da 36 mm a 60 mm. Ciò permette una temperatura media uguale in tutto il forno.
L’esperienza ci dice che in un giacimento di calcare vi sono ampi fenomeni di erosione, non solo alla superficie, ma anche all’interno della roccia, a causa della formazione di crepacci o profonde fenditure, colmi di argilla, limo o sabbia; pertanto, il calcare prelevato in cava si presenta sempre più o meno inquinato. Questi componenti estranei vanno, senza dubbio, eliminati mediante ripetuti lavaggi in acqua.
La presenza di argilla (SiO2 + Al2O3 + Fe2O3), per esempio, se non diligentemente allontanata con spruzzi d’acqua, causerebbe nella cotta la formazione di idrauliti indesiderati (C2S) e all’atto dello spegnimento, la formazione di semolini di idrosilicato di calcio (CSH), che andrebbero a ridurre la reattività della calce prodotta.
Se ben governata la cotta, da circa 100 grammi di CaCO3, a calcinazione avvenuta, si producono circa 56 grammi di CaO (calce viva) e 44 gr di CO2 (anidride carbonica). E presupposta la costanza in volume, si forma un corpo fortemente poroso con circa il 52% di volume in pori.
Alcune osservazioni: Abbiamo esaminato su un calcare devoniano l’influsso della temperatura e della durata del tempo di cottura, sulle caratteristiche della calce viva all’uscita del forno. Abbiamo verificato che esiste una relazione fra temperatura e tempo di cottura e la grandezza del cristalli di CaO. Alle temperature tra 900°C e 1000°C questa grandezza è di circa 1 µm. Si è rilevato inoltre che un eventuale prolungamento del tempo di cottura non influisce significativamente sulle dimensioni dei cristalli.
Si noti la grandezza dei cristalli di CaO in funzione della durata della cottura e della temperatura:
Durata cottura in h Temperatura °C Granulometria cristalli in µm
5 1300 15 (sinterizzazione)
15 1200 12 (sinterizzazione)
15 1100 4
30 1100 4
15 1000 1.5
30 1000 1.5
5 900 1
30 900 1
Concludendo ne deduciamo che dai risultati dalle ricerche intraprese si evincono alcuni parametri che sono comuni per tutta la calce che venga prodotta per l’uso in edilizia storica.
a) La grandezza dei cristalliti, la superficie specifica, la porosità delle calci (e conseguente reattività), cotte da calcare sono tra loro strettamente connesse.
b) Con egual tempo di permanenza in forno, un aumento della temperatura provoca un ingrossamento dei cristalliti di CaO, come anche una riduzione della superficie e della porosità.
c) Per ogni temperatura vi è una durata ottimale di permanenza nel forno.
d) L’altezza della temperatura di cottura è di importanza maggiore della durata della cottura.
e) Le condizioni ottimali di cottura vanno ricercate e stabilite separatamente per il calcare di ogni singolo giacimento.