La pietra nella letteratura classica
Ecco
alcuni brani, tratti da testi d’importanti Autori
classici, Manualisti ottocenteschi e di Trattatisti moderni, per
quanto attiene l’impiego delle rocce come materiali da costruzione e come
materiali ornamentali.
M. Vitruvio, I dieci libri dell’architettura, tradutti et commentati da Mons. Daniele Barbaro, 1567 (libro II, capo VII). “Il pietrame che serve per la muratura può essere di due specie: l’una si usa per la preparazione delle malte l’altra per costituire la struttura dell’edificio”.
Plinio, Storia naturale, I sec. A.D., (libro XXXVI, capo I). “[...] seguita che si dica per ordine delle petraie, delle quali gran copia di quadrati sassi, e di cementi si cavano per gli edificij. Queste si trovano di varie, e molto dissimiglianti maniere, perché alcune sono molli, come d’intorno a Roma, le Rosse, le Paliane, le Fidenate, le Albane; alcune temperate come le Tevertine, le Amiternine, le Sorattine, e altre di questa maniera. Alcune poi sono dure, come sono le selici”.
Leon Battista Alberti, Dell’architettura, 1485 (libro II, capo VIII). “Non è fuor di luogo aver un’idea di quanto varie e sorprendenti siano le qualità delle pietre, in modo da potersene servire ai diversi fini cha a ciascuna competono nella maniera più appropriata”.
Leon Battista Alberti, Dell’architettura, 1485 (libro II, capo IX). “Avendo noi ragionato così in genere di tutte le pietre, che o per ornamenti o per iscolture servono agli artefici ne’ loro bisogni, diciamo ora che quando elle si lavorano per la fabrica, tutto quello dove si adopera la squadra e le seste e che ha cantoni, sia chiama lavoro di quadro. E questo cognome deriva dalle facce e dagli spigoli che son quadri [...]. Ma se l’opra non resta così pulita, ma si intagli in tai cornici, fregi, fogliami, uovoli, fusaruoli, dentelli, guscie, et altre sorti d’intagli [...] ella si chiama opra di quadro intagliata o vero lavoro d’intaglio”.
Giorgio Vasari, Le vite …, 1568 (Introduzione, capo II). “Delle pietre altre habbiamo dalla Natura, altre sono fatte dall’industria de gli uomini: le naturali si cavano dalle petraie, e sono o per far la calce, o per fare i muri [...]. Quelle delle quali si fanno i muri, o sono marmi e pietre dure, che si dicono anco pietre vive; overo sono pietre molli e tenere”.
Andrea Palladio, I quattro libri dell’architettura, 1570 (libro I, capo III). “Le materie vogliono esser tali, che per qualità possino costruire tutto il corpo, e le parti principali dell’edificio, e perciò è necessario avere questa avvertenza, che altre materie si convengono a costruire, e elevare un genere di edificio, e altre ad un altro: [...] i Tempij, e i palazzi publici de’ Principi, o siano delle Republiche, e simili altri devono essere fatti de materie, che per la loro natura sono molto durabili, e anco se si può di specie nobile, e delicate. Le prime, e anco più robuste, e grandi, e gravi, e piene d’ogni bellezza serviranno per le fondamente, e mura, e per i piani, e tetti, e le altre poi si distribuiranno ad uso degli ornamenti; affine che secondo le specie e qualità loro siano distribuite ne’ luoghi più convenevoli, e possino far validamente l’ufficio loro, la qual cosa è di somma importanza all’edificare bene”.
Opus sectile
Vincenzo Scamozzi, L’idea dell’architettura universale, 1615 (Tomo II, libro VII, capo II) “I marmi che l’architettura impiega per la decorazione de’ suoi più nobili edifizi sono di più colori: bianchi, neri, gialli, verdi, rossi variati e frammisti di macchie, di vene, di mosche, di onde, di nuvole differentemente colorite. [...] Questa diversità di tinte esige primieramente un buon senso nell’architetto per applicarle seconda la convenienza de’ soggetti. I marmi di colori vivaci converranno per le decorazioni degli archi trionfali, delle fontane, de’ teatri, degli appartamenti, de’ cammini e di altre opere gaje. Ne’ tempii e negli altari i impiegheranno marmi di colori diversi. E ne’ mausolei e nelle tombe non si useranno certo quelli di colore allegro. In secondo luogo il differente colorito dei marmi richiede nell’architetto un’intelligenza per combinarli insieme in un’opera, affinché ne risulti un accordo pittoresco”.
Francesco Milizia, Principi di architettura civile, 1803 (parte I, libro IV, capo XII). “Sotto due aspetti possono riguardarsi le pietre da construzione: altre si usavano ne’ fondamenti e nell’interno de’ muri, altre nell’esterno degli edificj”.
Faustino Corsi, Delle pietre antiche 1845 (parte I). “Per pietre da decorazione comunemente s’intendono quelle che a cagione de’ bei colori, delle belle forme delle macchie, e della lucentezza che prendono sono buone da ornare gli edificj, ma che peraltro si trovano in grandi massi, onde formare statue, colonne, tazze, vasche ed ornati di architettura [...]. Gli scarpellini dividono le pietre da decorazione in due classi, cioè in tenere e in dure. Le calcari, le argille, le serpentine, i gessi, gli spati e le ardesie che facilmente si tagliano chiamansi tenere: le basalti, i porfidi, i graniti ed i così detti serpentini (porfidi verdi dei mineralogi) chiamansi dure, perché si tagliano con difficoltà”.
Palazzo dei Diamanti, Ferrara
Faustino Corsi, Delle pietre antiche, 1845 (parte II). “I materiali naturali si estraggono dai loro giacimenti (cave) e poi, se occorre, si lavorano colle forme e dimensioni richieste. Il loro allestimento comprende quindi due argomenti principali: estrazione e lavorazione I pezzi di roccia che si cavano con dimensioni molto superiori alle richieste, si dividono in pezzi minori; questi, se devono impiegarsi con una forma che loro manchi, si sbozzano; indi si compiscono in riguardo tanto alla forma come al grado di liscezza delle loro superfici. La lavorazione delle pietre comprende quindi tre operazioni principali: divisione, sbozzo, compimento. Esse richiedono strumenti e mezzi lavorati a mano o a macchina, e si eseguiscono con metodi diversi seconda la natura delle pietra, o diversi da un paese all’altro secondo le abitudini locali”.
Francesco Salmojraghi, Materiali naturali da costruzione, 1892. I materiali lapidei utilizzati in campo architettonico si suddividono secondo la lavorazione cui possono essere sottoposti.
Pietra grezza (pezzi informi per spaccatura);
pietra concia (forma definita con molta tolleranza mediante sbozzo di pietra
grezza): per murature ordinarie.
Pietra da taglio (lavorata su tutte le facce fino
alla martellinatura): per murature speciali.
Lastre non lucidate né scolpite (due dimensioni prevalenti sulla terza): per pavimenti, rivestimenti, scale, coperture.
Manufatti e lastre lucidati o scolpiti per decorazioni.
“I materiali che ricevono una lavoratura spinta fino alla lucidatura o alla scultura, sì a basso che ad alto rilievo, e che sono riservati al rivestimento o al compimento ornamentale di opere edilizie sontuose o di costruzioni monumentali, si qualificano per decorativi. Una distinzione netta non può farsi però fra di essi e la pietra da taglio; rimane specialmente incerto il criterio dipendente dal genere di scultura. Una cornice od un architrave con modanature semplici possono ancora iscriversi alla pietra da taglio; se invece hanno modanature complicate o se portano fregi scolpiti, spettano ai materiali da decorazione [...]. Non tutte le rocce lucidabili soddisfano in ugual modo tutti i casi dove occorrono decorazioni lucidate. A parità di condizioni economiche (prezzo, lucidabilità), influisce nella scelta il colore, che più o meno si adatta al carattere dell’opera od è più o meno in accordo coi colori dei materiali della stessa opera. [...] Le rocce policrome posseggono nel più alto grado l’attitudine ornamentale, sia per la vaghezza dei colori, che tanto più spiccano colla lucidatura”.
Basilica di Santa Croce a Lecce