Dei leganti idraulici naturali
Come ho già avuto modo di ribadire più volte in questo mio manuale, le calci comuni non possono far presa in presenza d'acqua, anzi se immerse in essa vi si mantengono. Per contro, i cementi idraulici naturali, che talvolta nominerò anche calci idrauliche o calci forti, possono far presa ed indurire anche sott'acqua.
Le calci idrauliche naturali si ottengono dalla calcinazione di calcari argillosi, o come meglio si dice, calcari marnosi, ovvero pietre calcaree che contengono in Natura una certa parte d'argilla e detta quantità di argilla, varia dalle 6 alle 20 parti su cento.
L'idraulicità è la proprietà che hanno queste calci di rassodarsi anche sott'acqua; e come stabilì il francese Vicat, l'idraulicità dipende direttamente dalla quantità di argilla contenuta nei calcari calcinati. Egli fu in grado di saggiare questa teoria per mezzo d'uno strumento da egli stesso ideato, e propose che l'Indice di Idraulicità fosse il risultato del rapporto:
argilla SiO2 + Al2O3 + Fe2O3
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Ossido di Calcio CaO
Secondariamente, ma non di minor importanza, anche l'aumentata temperatura di cottura dei calcari argillosi porta ad una maggior idraulicità delle suddette calci.
Il Vicat speculò poi sui detti principi allorché volle dimostrare che taluni risultati si potevano raggiungere anche in maniera innaturale.
Per esempio, se ponessimo a cottura dei calcari puri con aggiunta di buona argilla fino a 25 parti su cento, questi, se assieme calcinati a differenti temperature, renderebbero cementi con differenti indici di idraulicità.
L’ago di
Vicat
Calcinando i sopradetti miscugli alla temperatura di circa 1000°C, si ottengono le così dette "calci limiti", poiché oltre tale temperatura si ottengono i cementi propriamente detti.
Alla temperatura di 1200°C si ottengono i "Cementi romani", detti anche Cementini; ed infine, alla temperatura di circa 1500°C, il già citato Cemento Portland.
Nonostante le alte temperature aumentino l'indice di idraulicità, favorendo la formazione di Alluminati e Silicati idraulicamente attivi, le calci idrauliche migliori sono quelle naturali, che si lasciano calcinare a 900°C circa, come accade per le calci comuni.
Di fatto, i calcari marnosi calcinati a bassa temperatura abbisognano di minor acqua e minor tempo per lo spegnimento, e ciò scongiurerebbe alterazioni dei composti idraulicamente attivi.
E' inoltre riconosciuto che nei calcari argillosi calcinati a temperature moderate, gli idrosilicati di alluminio che costituiscono le argille originali, che non si trasformano in Silicati ed Alluminati all'atto della calcinazione, hanno la capacità di reagire con la calce, in presenza d'acqua, durante il periodo di presa ed indurimento, formando comunque dei composti dalle proprietà idrauliche.
Lo spegnimento di queste calci vien fatto con assai poca acqua, quanto basta per idratare la calce viva in esse contenuta, similmente a quanto si fa per spegnere la calce grassa comune per immersione; e così facendo se ne ottengono zolle pulverulenti che vengono lasciate all'aria, coperte, a ben stagionare. Queste più avanti sfioriscono, e vengono passate in un mulino per ottenerne una polvere fina, che è la calce idraulica pronta da portarsi a piè di fabbrica, dove sarà mescolata a buona sabbia e bagnata con la giusta quantità d'acqua per preparare le malte. Solo in quel momento avrà luogo l'idratazione dei silicati e degli alluminati, ovvero i composti idraulici derivati dalla calcinazione dell'argilla, i quali, in presenza d'acqua, inizieranno il processo di presa e di indurimento. Ciò ci deve far comprendere perché queste calci devono essere tenute a magazzeno in polvere e non già in acqua come le comuni calci grasse, poiché una volta bagnate, se non usate subito, sono da buttare. Queste calci fan subito presa, ed anche in acqua induriscono notevolmente.
Ciò mi rammenta ancora il Delorme, il quale nei suoi scritti, dopo aver lodato le calcine bianche e grasse, annota:
"V'ha però un'eccellente qualità di calce che non si fonde, ed è quella di Metz e suoi dintorni, ov'è accaduto che alcuni i quali non ne aveano conosciuta la qualità, avendola fatta fondere in truogoli ben coperti di sabbia, trovarono l'anno seguente questa calce dura al par della pietra, e dove' rompersi col martello e adoperarsi come pietrame.
Per estinguere questa calce, la si copre di tutta la sabbia che deve entrar nella malta, e la si innaffia poscia a più riprese. Questa calce si estingue senza mandar fumo, e fa una sì buona malta che a Metz è adoperata in quasi tutti i sotterranei colla sola mistura di ghiajetta; non v'entra ne pietra ne Calcina; e forma un mastice tanto duro, che quando ha fatto presa resiste ai più accuminati chiodi."
Qui ben si comprende allora quale sia la diversa natura della calce che il Palladio chiama "negra", che nei cantieri Veneti sostituisce la pozzolana degli antichi, poiché per le sue doti idrauliche può resistere all'acqua nelle fondazioni e alla pioggia sui muri più esposti.
Palladio la chiama anche "Padoana" ed indica che si ricava dalle pietre scagliose dei Colli Euganei; benché io ne abbia trovata di ottima in molti altri luoghi delle regioni italiane.
Lo Scamozzi, fonte inesauribile di conoscenza dei luoghi di provenienza delle migliori pietre cavate per cuocere eccellenti calcine bianche, descrive anche taluni calcari forti, come pietre che "son molto gravi e pesanti, del color del gesso da sarto, cioè non molto bianche, e di natura fragili e vetrigne, con qualche suono e poco lustro".
E' sorprendente scoprire che i molti calcari forti da me calcinati, presi dai luoghi descritti nella letteratura classica e nei documenti d'archivio, di fatto non mostrano colorazioni così evidenti come le valutazioni cromatiche tramandateci sembrano suggerire.
I termini nigra, moretta, bigia, berettina, livida,
assumono ben altro significato allorquando si può personalmente giudicare il
colore di queste calci. Credo che il termine "non molto bianche"
dello Scamozzi sia il giudizio più vicino alla realtà. Il colore delle calci
idrauliche naturali, una volta calcinate, adoperate ed asciugate, vira dal giallastro
pallido ad un debole nocciola rosato, ad eccezione dell'Albazzana, dove il tono
rosato sembra leggermente più vivace.
Dopo quanto detto dovrebbero esserci più chiare le
esperienze dei restauratori del '500, i quali trovandosi a rifar gli stucchi
con calci forti, su quelle murature che avevano subìto l'oltraggio dell'umido,
ebbero a lodarne la qualità e biasimarne il colore.
Il Cataneo, nel 1554, annota:
“Quando qualche parte della fabbrica nella qual si lavorasse di stucco, per causa di grotte, terreno o altro accidente sentisse humido, overo per li lavori delle fontane, sarìa in tal caso molto a proposito, non solo murare l'ossa sotto di calcina Albazzana, ma ancora la prima coverta più grossa sopra tali ossa farla di stucco impastato con calce Albazzana, quando questa come habbiamo detto fa all'umido meravigliosa presa; ma per esser molto livida, si farà sopra quella la coverta di fuore di stucco impastato di calcina bianca”.
Anche nei documenti d'Archivio degli Architetti Sabaudi e nelle loro capitolazioni ho trovato molti riferimenti circa le calci forti.
L'Abate Filippo Juvara (conosciuto anche come Juvarra), Primo Architetto civile di Sua Maestà, nelle istruzioni per la Palazzina di Caccia da farsi a Stupinigi, di suo pugno prescrive:
“Le calcine che si devono adoperare per le dette muraglie sino a un trabucho fuor di terra sarà la calcina di Superga forte, ben bagnata e purgata e curata di tutte le giare e pietre nò cotte, e questa sarà in pietra e nò in polvere”.
Manoscritto dell'abate Filippo Juvara
Qui egli fa riferimento alla calcina forte di color nocciola chiaro di Superga dai caratteri di debole idraulicità. Ma in questo ed altri documenti si vedono prescrivere la moretta di Rivara, la bigia di Casale, la giallastra di Ponte Stura e quella di Lauriano tendente al verdino; tutte calcine magre dalle pallide colorazioni, ovvero calcari con qualche parte d'argilla, i quali, una volta calcinati, venivano dati "in pietra" da spegnersi o "in polvere" già spenta.