Del colore delle calcine idrauliche naturali
Che la calce non sia mai stata sempre e solo bianca lo raccontano molti importanti ritrovamenti archeologici e molti scritti lasciatici da chi ci ha preceduto sin dai tempi più lontani e che la calce, che serviva a scialbare le superfici dei tectorii che fasciavano gli Opus Testaceum o gli Opus Mixtum delle straordinarie strutture Romane, fosse solo bianca non v’è dubbio. Le dealbazioni, ovvero l’Opus Albarium, che serviva a preparare i fondi necessari a garantire che le pitture in affresco “Udo Tectorio” mantenessero il colore originario delle ocre, non poteva che essere pura calce aerea bianca, di fossa, di lunga stagionatura.
Calce aerea
Ma le calci “da muro”, che dovevano garantire tenacità e durevolezza nel tempo, non erano solo pure e semplici calci aeree ottenute dalla cottura di calcari presi dai fiumi o dalle montagne, esse erano calci temperate da “materie amiche” come pozzolane, coccio pesto ed altre materie che conferivano ad esse la capacità di indurire anche in ambienti afflitti dall’umidità: persino sott’acqua.
Muro romano
In passato fu fatto largo uso anche di calci idrauliche, dai tenui color pastello, che per natura avevano la capacità di indurire sott’acqua anche in assenza di sabbie pozzolaniche. Queste calci, contrapposte alle calci dolci, bianche, si sono inaspettatamente ritrovate anche in siti archeologici di origine preistorica.
Il più antico calcestruzzo, scoperto sin ora, composto con calce idraulica dal colore naturale, sabbia e ghiaia, risale a circa 5600 anni a.C. ed è stato portato alla luce a Lepensky Vir, al nord delle penisola balcanica, presso un luogo chiamato Porte di Ferro, durante uno scavo sulle rive del Danubio.
Il “getto” fungeva da pavimento per un riparo di pescatori dell’Età della pietra. Il manufatto, di forma trapezoidale, spesso 25 cm, è composto con calce di color rossiccio. Ciò che rende ancor più sorprendente la scoperta è che, a quei tempi, il materiale preparato per la cottura della calce non fu colto sul luogo, ma fu portato da circa 300 km più a nord, risalendo il fiume, il luogo più vicino ove si potessero trovare carbonati marnosi idonei a produrre una calce a presa idraulica e non aerea, ideale per la formazione di quest’antico “calcestruzzo” sulla riva del fiume. Ciò suggerisce che la scelta fra materiali, che dovevano dare leganti di natura diversa, debba essere una pratica cosciente ed antichissima.
Solo “recentemente” sono giunte a noi informazioni dalla letteratura classica su ciò che è stato il colore delle calci usate in passato. Tali informazioni sono però poco indicative per poter ben comprendere quale doveva essere il colore dei leganti usati in antico.
Nel passato, in tutta Italia, la diversa denominazione dei calcari, impiegati come materiale da costruzione e soprattutto per la produzione della calce, variava principalmente in funzione delle caratteristiche morfologiche dei litotipi usati. Sin dal Rinascimento sono ricordati, per esempio, la “pietra d’Albettone”, il “sasso d’Albazzano”, il “sasso albano”, il “sasso coltellino”, “il sasso albarese” ed il “sasso porcino”. In particolare, l’Albarese (o Alberina) era così chiamata per le piccole figure d’alberi che si vedono comunemente in questa sorta di pietra.
In ogni cantiere del passato, per la sua diffusione, il sasso “Albazzano” corrispondeva alla pietra da calce per eccellenza. Esso veniva selezionato in base alla sua lavorabilità, la grana ed il colore, distinguendo eventualmente l’Albazzana per il colore più chiaro o più scuro che essa mostrava.
L’approvvigionamento del materiale avveniva preferibilmente in cava ed era affidato a maestranze specializzate; e la cottura della marna, raccolta nelle cave storiche, ed il successivo spegnimento, era invece condotto da esperti Mastri da Calcina.
L’attenzione posta nella scelta del calcare aveva come fine il controllo qualitativo della produzione e l’impiego differenziato dei tipi di calce ottenuta. Ricorre, infatti, frequentemente la distinzione fra “calcina forte”, impiegata prevalentemente nelle malte di allettamento murario e formazione degli intonaci, e “calcina dolce”, usata per il confezionamento dei tonachini e delle finiture.
L’esame della documentazione archivistica e della letteratura scientifica dei secoli XVII-XVIII, ha quindi evidenziato una notevole articolazione delle conoscenze empiriche nella scelta dei materiali per la preparazione della calce. In tutto il territorio nazionale, con il termine di “sassi forti” sono stati tradizionalmente denominati tutti i calcari marnosi; così come nei medesimi luoghi le calci ottenute da queste marne venivano definite genericamente “Albazzane”.
Formazioni geologiche a prevalenza calcareo-marnosa, che si estendono principalmente sul territorio settentrionale della nostra penisola e che rende tipica quest’area, sono state chiamate “Albarese” e “Albazzane”.
Obiettivo principale dell’indagine intrapresa sulle calci idrauliche naturali storiche, è stato quello di verificare, mediante metodologie analitiche oggettive, quanto riportato nella letteratura del passato sulle caratteristiche dei differenti tipi di Albazzana e sulla proprietà delle calci ottenute. A questo scopo, i calcari e le marne studiate sono stati sottoposti a cottura per realizzare sperimentalmente campioni di calce così come descritto nei vari documenti e testi presi in esame.
Particolare attenzione è stata rivolta alle temperature di cottura, scelte in un intervallo compreso fra 750° e 950°C, tenendo presente che la produzione della calce avveniva per calcinazione della pietra in fornaci a cottura intermittente, impiegando legname in fascine come combustibile.
Sulla base dei risultati ottenuti è stato possibile differenziare le calci in relazione alle temperature di cottura ed ai principali parametri mineralogico-petrografici delle rocce di partenza.
L’indagine, seppur empiricamente condotta, ha avuto come scopo di mettere a confronto i risultati cromatici delle calci poste in esame e le connotazioni lessicali che ci pervengono dagli scritti classici e la documentazione d’archivio. Qual è il significato degli aggettivi che identificano i colori delle calci idrauliche naturali del passato? Quando il Palladio definisce "nigra" la calce “Padoana” d’Albettone, a che colore allude?
Lo Scamozzi, fonte inesauribile di conoscenza dei luoghi di provenienza proprio di questa sorta di pietre da calcina, come abbiamo visto precedentemente in questo Quaderno, descrive i medesimi calcari marnosi come pietre che "son molto gravi e pesanti, del color del gesso da sarto, cioè non molto bianche, e di natura fragili e vetrigne, con qualche suono e poco lustro".
E' sorprendente scoprire che i molti calcari forti da noi calcinati, presi dai luoghi descritti dai nostri predecessori, di fatto non mostrano colorazioni così evidenti come le valutazioni cromatiche tramandateci sembrano suggerire.
I termini nigra, moretta, bigia, gialliccia, berettina, livida, assumono ben altro significato allorquando si può personalmente giudicare il colore di queste calci dopo la loro calcinazione ed il successivo spegnimento.
Crediamo che il termine "non molto bianche" dello Scamozzi sia il giudizio più vicino alla realtà.
Il colore delle calci idrauliche naturali, una volta calcinate, estinte, lavorate ed asciugate, vira dal giallastro pallido ad un debole nocciola rosato, ad eccezione delle piemontesi Lauriano e Pontestura, dove, nella prima, il tono rosato sembra leggermente più vivace, e, nella seconda, il tono è ravvivato da una punta d’aranciato.
Il campionamento delle pietre da calce è stato effettuato in cave sfruttate sino al recente passato, abbandonate e dismesse, che si trovano sparse nelle zone inscritte nelle aree storiche di approvvigionamento.
Per quest’indagine si sono colti, nei luoghi storici, 6 campioni di marna: la Casale, la Superga, la Lauriano e la Ponte Stura, citate nei manoscritti dello Juvara; l’Albazzana descritta dal Cataneo e dal Branca; infine l’Albettone menzionata dal Palladio e dallo Scamozzi.
I 6 campioni di pietra prelevati sono stati uniformemente franti e ridotti ad un’unica granulometria di 3 cm circa. I campioni sono stati quindi sottoposti a cicli di cottura costanti in muffola, della durata di 24 ore ciascuno. Nel forno si sono simulate temperature di cottura raggiungibili con il tradizionale combustibile costituito da fascine di legna. La temperatura iniziale della massa, pari a 750°C, è stata successivamente e progressivamente innalzata a 800, 850, 900 e 950°C.
La completa trasformazione del carbonato di calcio (CaCO3) in ossido di calcio (CaO) è stata controllata mediante difrattometria ai raggi X. Al termine di ogni ciclo di cottura, il materiale, che immerso in acqua non si scioglieva completamente, è stato sottoposto a nuova cottura a temperatura più elevata.
I provini di calce sono stati preparati spegnendo l’ossido di calcio con pari volume d’acqua, ottenendo, quindi, degli impasti di calce calda. La quantità d’acqua si è dimostrata sufficiente ad idratare il materiale, realizzando degli impasti lavorabili, ma non fluidi.
I medesimi provini di calce sono stati quindi esposti all’aria, a temperatura ambiente, per 60 giorni. L’avvenuta carbonatazione dei provini è stata ulteriormente controllata con una nuova difrattometria ai raggi X. Nessuna carica è stata aggregata ai leganti con lo scopo di evitare di perdere il naturale tono cromatico dei provini essiccati e carbonatati.
Altri 6 campioni di marna “Albazzana”, sono stati calcinati nel modo in cui si è detto sopra, però successivamente spenti con una quantità d’acqua strettamente necessaria per idratarli e farli cadere in polvere.
Durante la cottura delle “Albazzane” si rileva che a
temperature comprese tra 100 e 600°C
vi è la perdita dell’acqua di umidità e buona parte dell’acqua di combinazione
dell’argilla. A partire da 600°C
circa, vi sono reazioni chimiche allo stato solido tra CaCO3 ed i
costituenti dell’argilla (SiO2 Al2O3 Fe2O3)
con formazione di vari alluminati, silicati e ferriti, con sviluppo di CO2.
A temperature tra 800 e 900°C, si ha la decomposizione termica del CaCO3 restante in CaO e CO2 (CaCO3 = CaO+CO2) e quindi la formazione di altri alluminati e silicati.
I principali componenti delle calci cotte a 950°C sono: ossido di calcio (CaO); silicato bicalcico (2CaO SiO2); e alluminato tricalcico (3CaO Al2O3), assieme a minori quantità di composti secondari. Il silicato bicalcico e l’alluminato tricalcico, detti anche idrauliti, sono prodotti idraulicamente attivi, ovvero hanno la capacità di fare presa anche sott’acqua.
La temperatura di cottura dei provini di marna Albazzana, è stata scelta anche in base al contenuto di argilla ed alla tessitura del sasso di partenza. La temperatura, infatti, ha molta influenza sulle caratteristiche meccaniche dei provini finiti. Nonostante le relativamente alte temperature favoriscano la formazione di composti idraulicamente attivi (Alluminati e Silicati), le calci idrauliche naturali migliori sono quelle cotte a temperature più basse. Ciò sembra doversi attribuire al fatto che i composti calcinati a più bassa temperatura sono più porosi e meglio si lasciano estinguere evitando alterazioni degli idrauliti. Inoltre va osservato che nei prodotti cotti a temperatura moderata (massimo 900°-1000°C) i costituenti dei minerali delle argille originarie (SiO2 Al2O3) non trasformati in alluminati e silicati durante la cottura, hanno la capacità di reagire con la calce durante una più lunga fase d’indurimento formando composti dotati di proprietà idrauliche. Per contro, una più elevata temperatura di cottura della marna conferisce al legante caratteristiche di presa più energiche: più alta è la temperatura di cottura (1200-1250°C) e più corto è il tempo di presa. Va notato però che i prodotti ottenuti alle suddette temperature non possono essere annoverati fra i prodotti definiti “calce”, ma piuttosto, come già detto in precedenza, essi devono essere definiti “cementini”.
Ciò che costituisce oggetto di sorpresa, è che i calcari marnosi presi in esame, che all’aspetto si mostrano fra il liscio ed il rugoso e che sulla superficie di taglio fresco appaiono di un colore che vira dal nocciola chiaro con patine ocracee al biancastro-azzurrognolo, una volta calcinati e spenti, mostrano toni cromatici del tutto inaspettati.
Le calci idrauliche naturali in polvere virano dal gialliccio spento-opaco al nocciola rosato; dal bigio al bigio-nocciola; dal bigio scuro al nocciola-rossastro; dal nocciola-ocra al nocciolino chiaro, similmente a quanto si è potuto verificare dall’indagine cromatica già condotta sulle originarie calci Juvariane impiegate nell’architettura sabauda.
Pertanto si conclude notando che, né la frazione argillosa contenuta nelle Albazzane, né il rapporto nella terna (Allumina, Silice, Ferro), che compone l’argilla medesima, può far predire il colore delle marne cotte e le malte con esse preparate. Ciò fa sicuramente ritenere che in passato, solo la specifica conoscenza dei siti di approvvigionamento delle materie prime e la tradizione, fossero gli elementi che determinavano gli esiti estetici derivanti dal colore delle calci usate.
Si evince altresì, che il termine “livida Albazzana”, che si trova sovente in letteratura o nella documentazione d’archivio, non può essere sempre riferito effettivamente a calci ottenute dalla calcinazione da calcari marnosi provenienti dalle cave d’Albazzano; sicuramente in passato era così chiamata ogni calce, non perfettamente bianca, ottenuta da “sasso forte” di qualsiasi provenienza, purché avesse caratteristiche di presa idraulica come osservato per le originarie Albazzane.
Il Branca ed il Cataneo, pur operando in luoghi ben distanti tra loro ed entrambi lontani dalle cave d’Albazzano, definiscono Albazzane le loro calci “che all’acqua e al foco parimenti resistono”, consci però che la loro materia era stata preparata con pietre colte in siti certamente estranei alle pendici appenniniche del parmense.
Non mi stupirebbe se un giorno dovessi sentir chiamare albazzana la medesima calcina forte, ritrovata in luoghi non discosti da Enna, in Sicilia, che i locali chiamano nivura.
Importante
Quando dovete scegliere un legante idraulico, garantitevi che questo sia:
calcinato a bassa temperatura (1000°C circa);
calce idraulica naturale ovvero, silicato bicalcico (βC2S);
libero da solfati (SO3);
libero da clinker (C3S).
Ogni altra dichiarazione è insufficiente ai fini di poter operare una scelta adeguata, che vi metta alriparo da sgradite sorprese.