Finto marmo colorato
Secondo la maggior parte dei manualisti ottocenteschi, le indicazioni per la lavorazione degli impasti per la realizzazione di marmi colorati «in pasta» sono sostanzialmente di due tipi.
Il primo, consiste nello stemperare i colori (pigmenti minerali) del marmo che si vuole imitare in alcuni contenitori di vetro, contenenti una soluzione di acqua e colla calda, alla quale va aggiunta una quantità di gesso sufficiente a formare un impasto consistente. Con quest’impasto si preparano le «focacce», ovvero pallottole schiacciate.
Il secondo procedimento prevede la formazione di piccoli impasti con la polvere di gesso finemente macinata e setacciata, e colla di Fiandra diluita, a cui si aggiungono pigmenti per affresco, del colore del marmo da imitare. Con questa pasta colorata si formano le «focacce»: più grosse quelle del colore di fondo e più piccole le altre, che si ordinano per tonalità di colore. Alcune di queste pallottole vengono inoltre macchiate con la «salsa», un impasto formato ancora da gesso e acqua di colla, che serve per ottenere le «striature» a similitudine delle venature del marmo.
L'applicazione dello stucco a finto marmo colorato in pasta avviene in due modi.
1. Nel primo modo si prende un poco di ciascun colore preparato, si scioglie nell'acqua e con questa s’impasta il gesso fresco, quindi si applica il tutto sulla superficie da intonacare a «finto marmo».
2. Nel secondo, invece, si stende uno strato di malta piuttosto grezzo, ottenuto impastando gesso, sabbia fina e acqua di colla. Asciugato completamente questo primo fondo, si uniscono insieme le «pallottole» colorate e «venate». Da questo impasto colorato vengono tagliati dei pezzi che, dopo averli immersi velocemente in acqua, vengono applicati, sul supporto da decorare, sfregando con la cazzuola inumidita.
Finti marmi colorati
Dopo la stesura degli impasti colorati con spatole e cazzuole, si passa alla finitura a secco. Essa avviene mediante lo sfregamento con pietre e polveri di consistenza diversa. Comunemente, però, la pulitura e lucidatura del finto marmo si conclude in quattro fasi:
1. lisciatura con pialletti e appianatoi per togliere ogni asperità;
2. lisciatura grossolana con pietre abrasive, come la pietra pomice o la pietra arenaria;
3. lucidatura con polveri molto fini, generalmente con la “polvere di Tripoli”;
4. lucidatura, che può essere realizzata in due modi:
4.1 stesura a pennello di uno strato di acqua e sapone seguita da un'altra di solo olio di lino, applicato molto velocemente con una pezza di feltro.
4.2 una prima stesura di olio di lino e una successiva di un composto di cera e olio di trementina, applicati con un panno di lana o di seta.
Lo stucco a finto marmo, come si è detto altrove, poteva essere colorato anche con pigmenti da affresco, sciolti nell'acqua di calce, oppure con colori a olio. La prima citazione di tale tecnica si trova in un manoscritto anonimo del Cinquecento.
Consulta la Biblioteca Storica dell’Accademia: [6_AN_1]
Nel documento d’archivio si insegna che la coloritura dello stucco, realizzato con calce e polvere di marmo o di travertino, debba essere condotto con colori a olio stesi su d’una “inzuppatura” di biacca sciolta in acqua di calce.
Nel XIX secolo, altri autori riportano una indicazione simile: si descrive uno “stucco ad olio per imitare il colore dei marmi”. Per dipingere questo stucco si prepara la superficie muraria applicando con una spatola di ferro due strati di malta composta di gesso «vivo» e colla animale molto densa. Dopo l'applicazione dei due strati, una volta asciugatosi il fondo, si liscia la superficie con carta vetro e si copre il medesimo con uno strato di colla liquida, sulla quale, a più riprese, si stende biacca e colori a olio, misti con essenza di trementina.
La superficie dello stucco, preparata e levigata nel suaccennato modo, può infine essere “lustrata”, oltre che con pietre e olio, come si fa per il finto marmo, anche a caldo o a freddo, con soluzioni di sapone e cera, ottenendo il cosiddetto “stucco lucido”.
Alla fine del ‘400 si parla di un intonaco che diviene “lustro come specchio” se, una volta che il fondo s’è perfettamente asciugato, venga ricoperto con una mestica di cera, mastice (resina vegetale) ed olio. Una volta unto il fondo col preparato appena accennato, questi viene scaldato con braci, per facilitarne l'assorbimento, ed infine lucidato.
Vi sono altre fonti che descrivono due diverse soluzioni saponacee, destinate alla lucidatura a caldo o a freddo.
La prima, è composta di sola acqua e sapone di Genova, da applicare sullo “stucco semplice” non ancora completamente asciutto e da comprimere mediante ferri caldi.
Le medesime fonti tramandano qui la buona regola che vuole che gli impasti destinati agli interni possono contenere gesso, mentre, al contrario, se sono apposti all’esterno devono prevedere l’uso di polvere di pietra bianca.
La seconda soluzione saponacea, si compone di cera, sapone, e cremor di tartaro (feccia di vino) utilizzato probabilmente per diluire la cera. La lucidatura, in quest’ultimo caso, avviene a freddo: prima con una pelle bianca sottile, e successivamente con il filo della cazzuola.
Lavorazione fuori opera
Le decorazioni plastiche in stucco possono essere
eseguite in opera o fuori opera, oppure avvalersi di entrambe le tecniche
contemporaneamente.
Lo stucco realizzato in opera è il risultato di operazioni di modellazione dell'impasto fresco eseguite direttamente sul manufatto. Lo stucco realizzato fuori opera, invece, può essere ottenuto in due modi differenti.
Il primo prevede la realizzazione delle singole parti, non direttamente sul supporto murario, ma sul banco del cantiere.
Il secondo si avvaleva di stampi che permettono la realizzazione delle parti di una decorazione anche fuori dal cantiere, tramite la colatura dello stucco in apposite forme.
La differenza dei due metodi denunciata dalle fonti ottocentesche è la rapidità ed economicità delle decorazioni prodotte con il secondo sistema e nella abilità richiesta, invece, per quelli realizzati con il primo.