Le origini: storia di calci e di forni
L'origine della manifattura della calce è cosa incerta. Quando questa pratica, scaturita dalla casualità della scoperta, abbia avuto inizio, non lo si può stabilire, né si può stabilire quando i preistorici ebbero coscienza dei fenomeni che si accompagnano alla produzione della calce.
I primi villaggi appaiono in epoca natufiana (Palestina e dintorni), epoca che apre le porte al neolitico vero e proprio. Questo succedeva circa 14-15 mila anni fa. Di quella cultura sono stati trovati, a Mallaha, dei resti di una conserva per granaglie con le pareti rivestite di calce; nello stesso sito è stata ritrovata un’abitazione con una parete tonacata con calce, dipinta di ocra rossa.
In un giacimento dell’alta Mesopotamia, sul lato orientale del Tauro, presso un affluente di destra del Tigri, in un sito di età neolitica, preceramica, chiamato Çayönü (pronuncia: Ciaionù), la data del quale risale a circa 7250 anni a.C., al quarto livello è stato rinvenuto uno straordinario pavimento a terrazzo, con tasselli lapidei distribuiti a mosaico. In quel luogo si calcola che sia stata usata una quantità di calce pari a non meno di una tonnellata.
Sito neolitico di Çayönü, Anatolia, Turchia
In un altro sito, Nevali Çori, ancora in Anatolia, si ritrova un simile pavimento a terrazzo, in calce ed aggregati lapidei, ancora lucente, il quale gareggia in bellezza con gli intonaci dipinti in ocra di Çatalhöyük (pronuncia: Ciatal Uiuk, spesso scritto Çatal Hüyük), datati 6250 anni a.C.
Che questi nostri predecessori preistorici, un bel dì, a modo loro, avessero acquisito coscienza dei processi di decarbonatazione, idratazione e ricarbonatazione per assimilazione di anidride carbonica, è innegabile.
Sito neolitico di Çatal Hüyük, Anatolia, Turchia
Gli storici dell'antichità sono oggi dell'opinione che la conoscenza di questa pratica doveva essere già largamente diffusa ed uniformata almeno quando vennero costruiti i primi forni verticali da calce. In base alle nostre conoscenze archeologiche questi forni furono realizzati circa 2000 anni prima della venuta di Cristo, in Mesopotamia, il paese civilizzato più antico dell'umanità, tra il Tigri e l'Eufrate, in prossimità della città di Ur.
Come emerge dai rilevamenti sui reperti archeologici, questi forni risultano più sviluppati rispetto ai precedenti. Per preparare la cotta veniva eretta dapprima una volta in legno nel forno, ammucchiando a strati il materiale dolomitico trovato nei dintorni in modo tale che la volta, anche dopo la combustione, della costruzione in legno, usata anch'essa come combustibile, non precipitasse sul fondo.
La combustione nel forno avveniva con legname attraverso la bocca. La durata della cottura si protraeva per una o due settimane secondo la carica.
Oltre a queste antichissime tracce, si ritrovano oggidì in tutta Europa molte testimonianze sulla cottura della calce appartenenti al Medioevo e all'epoca Moderna.
Nell'installazione di un forno da calce si procedeva spesso praticando un pozzo in una parete di calcare a ridosso d'un pendio e collegandolo in basso, con l'esterno, attraverso il diaframma di contenimento, mediante una corta galleria, che era poi il foro d'entrata al prefùrnio, che serviva per attizzare il fuoco. E similmente a come avveniva nei forni Romani appena accennati, anche in questi si erigeva una volta in calcare, accendendo sotto di questa il fuoco da grossi pezzi di legname. La sezione di questi forni era indifferentemente ovale o circolare.
Consulta la Biblioteca Storica dell’Accademia: Vincenzo Scamozzi [15_SA_2]
Forno di montagna
Bisogna attendere sino al 1750 per trovare un forno a funzionalità migliorata; esso era già simile al moderno forno a tino ed il profilo della camera di combustione avrebbe caratterizzato la maggior parte dei forni costruiti in futuro.
Il funzionamento di questi forni maggiorati, con cottura a cariche, non risultava economico però, a causa del ridotto sfruttamento del combustibile: la produzione era infatti molto bassa per effetto del prolungato tempo di raffreddamento delle cotte. Ragioni sufficienti queste per indurre i tecnici dell'epoca a progettare sistemi di processo di maggior rendimento ed economicità. Gli studi che ne seguirono portarono infatti allo sviluppo dei forni verticali come oggi li conosciamo: ad esercizio continuo con alimentazione dall'alto ed estrazione dal basso della calce cotta.
Durante gli ultimissimi anni del Settecento già si erge, in prossimità di ricchi giacimenti di carbon fossile, il primo forno verticale alimentato con carbone anziché le tradizionali legna, lignite o torba.
Il forno cilindrico, a funzionamento continuo, è alto 5 metri, con una luce interna di 150 cm, ed un volume di 9 mc, e viene caricato dall'alto con strati alternati di carbon fossile e carbonati.
Si ritiene comunque che quasi tutti i popoli civili, come gli Egiziani, i Cinesi, i Maya oltre ai Fenici, ai Greci ed ai Romani, abbiano conosciuto la tecnica della cottura della calce ed il suo impiego.
Dalla Mesopotamia la conoscenza della fabbricazione della calce si diffuse rapidamente nel Vicino Oriente. Nella costruzione di Troia e di Micene si impiegò una malta di calce. Nell'Antico Testamento già si descrivono i tinteggi degli edifici con scialbi di calce.
Col passar dei secoli, probabilmente per effetto dell'intensa attività di scambi commerciali, tale conoscenza arrivò ai Greci, che la trasmisero poi ai Romani, i quali ne perfezionarono la tecnica di fabbricazione e d'impiego.
Molto similmente all'uso che ne facciamo oggi in edilizia, la calce venne impiegata nell'antichità, prevalentemente per le malte da costruzione e da intonaco; inoltre venne diffusamente impiegata per i tinteggi delle pareti e la formazione dei pavimenti. La grande perfezione nel costruire, raggiunta in quei periodi, è testimoniata dalle possenti ed arditissime costruzioni romane, che ancor oggi possiamo ammirare in tutta Europa.
All'epoca dei Romani, la professione del fornaciaio da calce era molto considerata: lo testimonia la designazione di "Magister Calcariarum" ritrovata su diverse steli votive portate alla luce durante scavi archeologici. Soprattutto Marco Pollio Vitruvio descrive diffusamente sulla tecnica nell'unica opera organica conservataci. Egli si sofferma in particolare sull'opus caementicium, una miscela di calce viva, pozzolana, coccio pesto e sabbia.
I popoli europei appresero dai Romani la tecnica della cottura della calce: tale conoscenza risulterebbe limitata in un primo tempo alle regioni occupate dai Romani, ma sicuramente si estese poi verso oriente. A tal riguardo è sorprendente la recente scoperta, su un'isola della Sprea (Berlino), dei resti di un forno da calce, che dev’esser stato utilizzato dai Germani o dai Veneti.
Benché le costruzioni degli Incas in Perù furono erette in gran parte senza malta, è invece sicuro che i Toltechi abbiano lavorato, a partire dal settimo secolo dell'era moderna, nel Messico, con malta di calce; così come si fece per la costruzione delle piramidi di Shensi nel Tibet e per l'innalzamento della Grande Muraglia Cinese. Solo ultimamente si è scoperto che la tenacia delle malte che legano i mattoni della appena citata Muraglia è dovuta al diffuso uso dell’amido di riso come temperante del legante applicato.
La calce non servì nel passato esclusivamente alla preparazione delle malte da costruzione: gli Egiziani, come i Cretesi, i Micenei, gli Etruschi, i Maya ed altri civilissimi popoli - che per brevità non cito - conobbero la calce come colorante. I Greci e i Romani svilupparono questa tecnica dell'impiego della calce sino a spingersi ad esiti estetici di nobilissima raffinatezza. La calce trovò impiego nella decorazione di pregiati vasellami, vasi ed oggetti ornamentali e soprattutto dipinti murali che son stati, da sempre, il vanto della cultura e dell'Arte dell'uso della calce.
La calce viva venne anche impiegata come farmaco in virtù della sua azione cauterizzante. I Moche peruviani, popolazione Inca d'origine ancora ignota, usavano mescolare alla foglia di coca un pizzico di calce al fine di far sprigionare gli alcaloidi dalla droga, durante i loro riti divinatori.Plino il Vecchio ne riconosce le virtù medicamentose e fertilizzanti; gli Egiziani la impiegarono per la concia delle pelli; e l'acqua di calce venne usata in tintoria; i Romani, mescolata con sostanze organiche come l'olio, il grasso, l'albume, impiegarono la calce come colla. E' sorprendente che gli Assiri citassero la calce nelle loro ricette per la preparazione del vetro: questa possibilità d'impiego fu riscoperta solo alla fine del Medioevo.
Le conoscenze degli antichi popoli civili furono in gran parte dimenticate nel periodo buio del Medioevo. Basti citare che fosse accettata l'opinione che la calce viva risultasse costituita dal calcare d'origine e dal fuoco assorbito durante la sua cottura, e tale opinione, seppur errata, ebbe per effetto di vederla, con successo, utilizzata per fabbricare ordigni incendiari con scopi offensivi, con l’intento di ustionare i nemici in battaglia.
I Cinesi, al pari, sfruttarono per gli stessi infausti scopi, il calore che si sviluppa dalla trasformazione dall'ossido di calcio in idrato all'atto dello spegnimento.
Nei primi del Cinquecento, il tedesco George Bauer, detto “l’Agricola”, per primo illustrò dettagliatamente l'impiego della calce in siderurgia.
Dei primi usi della calce, ci resta ancora memoria del suo antico impiego per la costruzione delle cisterne in Gerusalemme, effettuata sotto il governo di Salomone nel X secolo a.C..
La cottura ed il successivo spegnimento della calce, era una operazione ben conosciuta dagli antichi romani, che diedero anche delle regole per quelle manipolazioni; in “De Re Rustica” Catone il Censore, a proposito della produzione della calce e delle malte, indica che i migliori risultati si ottengono con i calcari di colore più bianco; ugualmente si esprime Vitruvio, il quale oltre all’indicazione del colore e quindi della purezza del calcare, ammette che le calci da usarsi per murature, è bene impiegare calcari compatti, mentre per le calci da intonaci sono indicati i calcari più porosi.
Nelle varie trattazioni si trova solo menzione della calce aerea, che richiede, prima dell’uso, l’operazione di spegnimento in acqua ed una prolungata stagionatura nelle fosse; secondo quanto ci tramanda Plinio, vi era l’obbligo di usare soltanto la calce che avesse avuto una permanenza nelle fosse di almeno tre anni: “Intrita quoque ea quo vetustior, eo melior. In antiquorum aedium legibus invenitur, ne recentiore trima uteretur redemptor; ideo nullae tectoria eorum rimae foedavere” (Plinio, XXXVI, LV, 176).
Per quanto riguarda l’impiego di malte resistenti all’acqua, preparate cioè con leganti idraulici, se ne trova il primo cenno a proposito delle già citate cisterne in Gerusalemme, la cui parte inferiore, in contatto con l’acqua, fu ricoperta con un intonaco impermeabile, costituito da una miscela di calce, polvere di mattone e materiale organico, miscela il cui uso si suppone sia stato insegnato dagli operai fenici adibiti a quella costruzione; sembra quindi che i fenici già conoscessero empiricamente le proprietà idrauliche dell’argilla cotta posta in mistione con la calce, il cui impiego si è trasmesso sino ai giorni nostri con quei prodotti che si ottengono appunto mediante la torrefazione dell’argilla e che noi annoveriamo fra le “pozzolane artificiali”.
Parallelamente all’uso del cocciopesto, si cominciarono ad impiegare materiali naturali dalle spiccate caratteristiche di idraulicità, quali la terra di Santorino nell’arcipelago delle Cicladi e la pozzolana italiana sia dei dintorni di Napoli (Pozzuoli, da cui il suo nome pozzolana), sia quella della zona laziale; è naturale che questi materiali si incominciassero ad usare come semplici sabbie da costruzione, e che soltanto dall’uso se ne poté constatare le proprietà idrauliche.
E’ dubbio se gli antichi abbiano ottenuto ed utilizzato calci idrauliche derivate dalla cottura di calcari marnosi.
Nella letteratura latina manca un esplicito ed illuminante riferimento a questa qualità di calce: anzi, nelle prescrizioni per le calci da costruire, vengono sempre scartati i calcari argillosi; ciò non esclude però che senza averne piena coscienza, si sia usata calce idraulica, ritenendola un tipo di calce aerea di qualità più scadente di quelle calci aeree che erano ottenute da calcari più puri, ossia più bianchi.
Dalla caduta dell’impero romano fino al XVIII secolo, ben pochi sono stati i progressi della tecnica costruttiva; continuò l’uso del gesso e della calce aerea, seguendo le stesse prescrizioni tramandate dai romani (seguendo Vitruvio, Alberti ed altri Grandi) e continuò l’uso delle malte pozzolaniche sia costituite da calce e polvere di laterizi, sia da calce e pozzolana naturale, alle quali si devono aggiungere, oltre alle terre di Santorino, quei tipici tufi tedeschi della zona renana, i cosiddetti trass, e la gaize francese.
Nel corso della storia moderna, attorno ai primissimi anni dell'Ottocento, le conoscenze sui componenti intimi della calce, si svilupparono velocemente e si approfondirono. Ci fu chi disse cose egregie e chi inciampò in errori ed opinioni contrastanti, ma entro il primo ventennio di quasi due secoli fa, grazie a curiosi e caparbi ricercatori, il segreto racchiuso in quest'antichissimo materiale, fu svelato a tutti.
In un'era di grande euforia, alimentata dall'incontenibile voglia di scoprire il “segreto” delle malte romane, fu fatta luce sul significato dell'elemento Calcio. Fu fatta chiarezza sul significato di calce viva, calce spenta, decarbonatazione e ricarbonatazione, presa e indurimento, presa aerea e presa idraulica: ma soprattutto si trovarono quegli elementi che permisero a quei curiosi ricercatori di cogliere i millenari segreti dei leganti del passato e riproporli in un “nuovissimo e rivoluzionario materiale”: il cemento.
Le più alte temperature raggiungibili, i nuovi forni e con nuovi combustibili, aprirono la strada ad una nuova cultura. Con il brevetto 5022, del 1824, che presenta al mondo del costruire il nuovissimo legante Portland, inizia a scomparire la figura del Magister Calcariarum.