Stucco di calce o stucco di gesso?
Dalle fonti esaminate si evince che i composti mediante i quali si possono creare elementi decorativi in rilievo, o semplicemente rifinire una parete piana, o riempire vuoti o crepe, sono indicati genericamente con il termine «stucco».
Con tale termine inizialmente si indicano impasti a base solo di calce aerea e polvere di marmo, mentre, a partire dalla seconda metà del ‘500, si chiamano stucchi indifferentemente malte a base di calce e malte a base di gesso.
In epoca romana, già Vitruvio e Plinio, riportano indicazioni per ottenere impasti idonei a creare rivestimenti superficiali che avessero lo splendore e la lucentezza del marmo (opus albarium). In questi impasti, a base solo di calce aerea e polvere di marmo, si sconsigliava l'utilizzo del gesso perché responsabile di rendere i manufatti estremamente vulnerabili e quindi meno durevoli.
L'uso dello stucco come rivestimento di finitura ebbe, a partire dal Rinascimento, nuovi impulsi. Le finiture lucide petrigne, infatti, evocavano l'immagine dell'architettura aulica dei palazzi “muniti”.
Con il termine “stucco” si intendeva ancora l'impasto “classico”, a base prevalentemente di calce e polvere di marmo o travertino, utilizzato sia per realizzare «incrostazioni» a similitudine del marmo sia per modellare le varie componenti architettoniche (cornici, paraste, capitelli, mensole, cassettoni per soffitti ed altro).
Sarà fra il Seicento ed il Settecento, nel periodo barocco e rococò, che si affermerà, in Europa e in Italia, l'uso dello stucco a base prevalentemente di gesso come materiale fondamentale per la realizzazione di complesse decorazioni plastiche. E’ proprio in quel periodo che la tecnica dello stucco sembra trovare, per mano di vere e proprie dinastie di artisti‑stuccatori, le variazioni tecniche più interessanti. Questi insuperati Mastri, attivi soprattutto nell'Italia del nord, tramandarono tra loro alcuni “segreti” e numerosi accorgimenti tecnici, di cui rimane solo qualche debole riferimento nei manuali dell'epoca.
Dalla seconda metà dell'Ottocento, la tecnica dello stucco si riduce a una pratica semi industrializzata; e la prefabbricazione fuori opera degli elementi decorativi cominciano a sostituirsi a quelli tradizionali. I manualisti di questo periodo, infatti, cominciano a far comparire il gesso prevalentemente nei capitoli dedicati alle malte bastarde. Sono così chiamate le miscele di due leganti diversi, e in particolare modo quelle formate con calce comune e gesso. Purtroppo è accaduto, verso la fine del secolo, che anche il cemento Portland sia entrato nelle composizione delle malte bastarde, con l’intenzione di accelerarne la presa e ridurre i tempi di creazione dei manufatti. Questa è una malintesa cultura ancor oggi difficile da estirpare.