I terrazzi
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I Terrazzi a battuto con semina di marmi policromi sono il risultato di un complesso procedimento costruttivo che consiste nella sovrapposizione di strati di spessore, composizione e funzione diversa.
Le fasi principali della realizzazione del Terrazzo a battuto coincidono con quelle riportate dalle informazioni più antiche per la costruzione delle pavimentazioni dove la malta con cocciopesto è il componente principale degli strati che costituiscono la pavimentazione. Le indicazioni differiscono, invece, per quanto riguarda il nome dato ad ogni strato e le relative operazioni, le lavorazioni superficiali e le rifiniture.
Dopo la stesura del primo strato composto di frammenti di coccio e calce, realizzata con il badile e poi con un rastrello a punte di ferro, si osserva un periodo di riposo di alcuni giorni, a seconda della stagione, prima della battitura.
I terrazzieri, con dei lunghi ferri, detti zanche, procedevano ad assodare il primo strato di malta parallelamente ai muri, in senso opposto a giorni alterni. Alla zanca veniva impressa una forza regolare, lasciando trascorrere almeno un giorno tra una battitura e quella successiva che doveva avvenire sempre in direzione incrociata alla precedente.
La battitura andava protratta fino a quando si vedeva affiorare il grassello di calce sulla superficie del battuto.
Questa prima battitura poteva considerarsi conclusa quando lo strato di malta, se ancora battuto, era divenuto talmente compatto da non dare indizio di volersi compattare ulteriormente.
Terminata l’operazione di prima battitura, sul primo strato, reso leggermente scabro “snasando” la superficie con la picca o con la penna del martello - per facilitare l’aggrappo del successivo strato - se ne distendeva un secondo ed eventualmente un terzo, composti da calce, cocciopesto (o pozzolana) e polvere di marmo in parti uguali, ripetendo le operazioni di compattamento con le zanche. Nel caso si fosse trattato dell'ultimo strato, si procedeva tosto alla tracciatura delle campiture di decorazione sulla malta ben ferma, ma non ancora completamente asciutta.
La preparazione delle campiture decorative poteva avvenire in due modi:
Il primo, prevedeva la riproduzione del disegno su grandi cartoni traforati, dai quali i disegni venivano trasferiti sul battuto con la tecnica dello spolvero, come si fa in affresco.
Con il secondo metodo, i contorni del disegno venivano invece riprodotti direttamente sulla superficie con un ferro appuntito, a mo’ di sinopia.
Completata la semina nei vari scomparti, i Mastri concordano nell’operazione di rullatura mediante un cilindro di pietra (o di ferro) usato per conficcare le tessere nella malta, fino quasi a farle affondare nello strato di battuto. Seguentemente, dopo aver rullato il fondo più volte, si ripeteva la battitura con la zanca metallica.
Sospesa l’opera per alcuni giorni, si procedeva alla fase di levigatura vera e propria.
La fase di rotatura o orsatura, avveniva di due fasi distinte:
1) una prima fase di levigatura a umido, ottenuta sfregando la superficie del battuto cosparsa con acqua mista a sabbia granulosa o polvere di pietra pomice, con un orso, ossia un pezzo di pietra arenaria (secondo alcuni testi, tirato da corde, per altri invece, munito di un manico);
2) seguiva una seconda fase di levigatura a secco, per eliminare ogni irregolarità, eseguita con lo stesso orso nel quale si sostituiva la pietra abrasiva con una di grana più fine che veniva sfregata sul pavimento coperto di sabbia sottile. Questa sabbia abrasiva, per alcuni terrazzieri doveva essere sabbia di mare, altri preferivano la polvere di pietra pomice.
Integrazione del seminato alla veneziana
Terminata l’orsatura, prima della lucidatura, al fine di rendere i contorni del disegno più evidenti, era uso inciderli con una punta di acciaio e di riempire l’incisione con «stucco nero» misto a olio di noce.
La successiva lucidatura avveniva imbevendo il battuto, a giorni alterni, con olio di lino, da applicare, o a cazzuola o più semplicemente con un panno morbido.
Dopo un giorno di riposo il battuto veniva coperto con segatura e infine pulito.
Le campiture decorative venivano messe in evidenza, se necessario, guazzando dei colori misti a calce.
Dopo 6‑8 mesi gli impasti colorati venivano soffregati con una pietra arenaria e lucidati con olio di lino crudo e sapone stemperato nell'acqua bollente. La lucidatura doveva essere eseguita con stracci di lana e ripetuta per tre volte, nell'ultima delle quali si doveva utilizzare olio «ben bollente» misto a cera.
Per mantenere il terrazzo sempre lucido e protetto, la Regola consigliava di ripetere la lucidatura con olio ogni due mesi. Un'indicazione relativa alla manutenzione del terrazzo è indicata con due sistemi: uno a caldo ed uno a freddo, per «acconciare un terrazzo rotto».
Il primo prevedeva l'applicazione sul terrazzo da «riacconciare», di un composto contenente bolo armeno e cocciopesto fino, da stendere con un ferro caldo.
Il secondo modo sembra invece riferirsi al sistema per ricostruire le parti decorate mancanti.
La “pietra” ricostruita, con l’adeguato colore, veniva quindi ricollocata nel terrazzo con un mastice composto di olio caldo, colla di formaggio, polvere di marmo, bianco d'uovo e calce.
Gli «ammattonati», ovvero i mattoni posti di costa o di piatto venivano, da tutti gli artieri, secondo Vitruvio ed i classici rinascimentali, posti su uno strato di malta di spessore variabile.
Composizione alla palladiana
Sullo strato di fondo (statumen) si stendeva un primo strato (rudus) di malta composta da calce, clasti di pietra e pezzami di tegoli o mattoni di grosse dimensioni ed un secondo (nucleus) destinato a ricevere il pavimento vero e proprio, contenente calce e cocciopesto di più piccole dimensioni.
Se la pavimentazione era destinata all’esterno, tra i due strati suaccennati, era buona norma inserire uno strato di embrici, della misura di un sesquipedale ed oltre, con le commessure riempite di calce e unte con olio o grasso animale. Per ognuno di questi strati le prescrizioni del passato prevedevano una energica battitura con mazzeranghe.
Terminata la stesura e la battitura del pavimento si passava alla levigatura con pietra cote.
Nel Cinquecento, invece, si indica come «notissima cosa» un procedimento di levigatura consistente in una prima fase di abrasione con sabbia granulosa e acqua e in una seconda fase di pulitura con polvere di pietra Tripoli da concludere con la stesura di una abbondante passata di olio di noce.
Cocciopesto (malta di allettamento per ammattonati)
Anche nel caso dell'utilizzo della malta con cocciopesto, come malta di allettamento per altri tipi di pavimentazioni, le informazioni riferite dalle fonti sono limitate cronologicamente a quelle più antiche che riportano quasi fedelmente le indicazioni di Vitruvio. Nel trattato vitruviano, infatti, le malte con cocciopesto appaiono essere un composto dal duplice impiego: come malte di allettamento sia per pavimentazioni composte da grossi frammenti litici disposti in forme geometriche sia per «ammattonati», oppure come malte che divenivano, se opportunamente battute e lucidate, lo strato superficiale della pavimentazione stessa.
Particolare del pavimento in cocciopesto della domus di età imperiale di Claterna, Maggio di Ozzano dell'Emilia
L'uso di malta contenente calce e coccio pesto veniva consigliato sia nel penultimo strato (nucleus) che nel primo (statumen) allo scopo di prevenire possibili dannose infiltrazioni d'acqua, senza aumentare troppo lo spessore del pavimento.
Gli unici manualisti a riportare poche e sommarle indicazioni relative alla manipolazione degli impasti con cocciopesto per rivestimenti orizzontali sono gli autori ottocenteschi, i quali raccomandano di ottenere la giusta consistenza del composto con una lunga e prolungata mescolazione, senza utilizzare altr’acqua oltre quella strettamente necessaria all'impasto degli ingredienti, aggiungendo, se necessario, per ammorbidire la malta, una ponderata quantità di calce in pasta piuttosto liquida.
Alcune differenze si possono notare sulla tecnica di preparazione della malta del primo strato, la quale avrebbe dovuto contenere molta acqua e avere una consistenza dura e «lattiginosa». La malta del secondo strato, invece, doveva essere morbida e «molto maneggiata»; la terza, infine, doveva essere “liquida piuttosto che dura”.
Consulta la Biblioteca Storica dell’Accademia: Cesare Cesariano [7_CS_1]