I mastici
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I Mastici per incollare
Il mastice è un
tipo di colla liquida, di vario impiego, prodotto originariamente dalla resina
del lentisco disciolta in trementina.
Inoltre, mastice
si intende generalmente una colla che fa presa su superfici ruvide. Superfici
lisce necessitano, perciò, di essere scartavetrate.
Lavorazione degli impasti
Le indicazioni relative
alla lavorazione dei mastici sono limitate a quelli contenenti la polvere di
coccio e il litargirio.
Le tecniche di lavorazione indicate dalle fonti sono essenzialmente due:
1) polvere di coccio passata al setaccio molto fine,
litargirio,
cerussa (o cerrusa),
olio cotto siccativo,
olio di lino crudo;
2) spegnimento della calce nell’olio di lino, successivo impasto con il coccio setacciato molto finemente.
Il primo composto deve
essere rimescolato con un macinello
fino a quando non è più possibile distinguere i vari ingredienti.
Il secondo, invece, riconosciuto come mastice di Vauban, deve essere mescolato accuratamente, quindi battuto energicamente per mezza giornata; lasciato in quiete per una notte intera, ed infine battuto per un'altra mezz'ora prima dell'applicazione.
L'unica indicazione relativa all'applicazione dei mastici, a base di polvere di cocciopesto, riguarda l'utilizzo di questi come intonaco molto simile a quello indicato per la stuccatura delle cisterne. Questo rivestimento è ottenuto con l'applicazione di sei strati molto sottili di mastice, fino al raggiungimento dello spessore d’un dito: 2 cm circa. L'ultimo strato deve essere lisciato con un «ciottolo» molto liscio, del quale non se ne comprende la natura. Pomice forse?
Lavorazione dei mastici di pece
Ciò che vien detto
comunemente “pece”, è indicata dalle fonti come “pece greca”, per altro conosciuta da tutti i Mastri col nome di “colofonia” o più
puntualmente “pece bianca”, è una resina naturale prodotta in forma di
secrezione da alcuni tipi di piante. In modo specifico, quella utilizzata nelle
antiche Botteghe era ottenuta praticando delle incisioni nelle cortecce «dei
legni pingui e resinosi», ovvero pini e abeti.
Le ricette per mastici, a base di pece, sono abbastanza numerose e testimoniano un impiego piuttosto diffuso di questo distillato, sfruttato soprattutto per le sue proprietà protettive, adesive ed idrorepellenti.
I composti temperati con la pece sono consigliati per riempire commessure, per stuccare i rivestimenti in pietra o marmo, e per riparare le crepe nelle cisterne e nei luoghi particolarmente soggetti a umidità, e molto raramente vengono consigliati come veri e propri intonaci, eccetto quando sono applicati su superfici atte a ricevere particolari trattamenti.
Un esempio molto significativo, a questo proposito, sono le indicazioni del Cennini per un rivestimento misto a pece da applicarsi sui muri soggetti a umidità e destinati a ricevere una decorazione ad affresco. Il Maestro prevede la stesura di due strati: il primo costituito di sola pece bollente; il secondo, invece, è composto da pece e mattoni nuovi pesti.
Mastice per cisterne
Le notizie relative ai
mastici aventi come componente principale la pece vegetale, utilizzati per
saldare le crepe o spaccature, sono presenti nelle fonti di quasi tutte le
epoche esaminate. La prima citazione, che riporti le caratteristiche di un
composto atto a “saldare o pelo in dite cisterne”, si trova in un testo del ‘500. La ricetta
prevede l'applicazione di una malta ottenuta impastando pece calda e zolfo.
Questo composto, una volta raffreddato, deve essere mescolato con calcina viva
fino a ottenere la consistenza di una pasta con la quale si suturano eventuali
crepe presenti nelle cisterne.
Una indicazione molto simile per una “specie di stucco adattissima a stagnare le fessure” delle cisterne è riportata alcuni secoli dopo, nel 1845. L'unica differenza in quest’ultima ricetta, rispetto alle indicazioni rinascimentali, è rappresentata dall’aggiunta, nell'impasto, di calcina viva e grasso animale al posto dello zolfo, probabilmente con l’intento di ottenere un emulsionante stabilizzatore.
Altre ricette di mastici, all'apparenza fantasiose, sono invece indicate laddove si suggeriscono materiali da utilizzare in luoghi soggetti a particolare umidità. A questi “curiosi” composti a base di pece erano uniti gli additivi più vari: polvere di cocciopesto, olio, il grasso animale e cenere di legna, per aumentare probabilmente l'impermeabilità e la lavorabilità. Altri additivi come il sangue di bue, la cera e la stoppa, avevano lo scopo di aumentarne la tenacità, accelerarne la presa, ridurne il ritiro e rendere le mestiche più idonee ad essere facilmente assorbite nelle porosità delle pareti da impermeabilizzare.
La regola per l’applicazione di suddetti composti voleva che una volta ridotti alla consistenza di una pasta, i mastici fossero fatti penetrare nelle crepe delle cisterne con spatole di legno. Il mastice introdotto nella crepa e “diligentemente compresso”, avrebbe reso la superficie perfettamente impermeabile e impedito ogni ulteriore infiltrazione d'acqua.
Altri autori consigliano, inoltre, di imbibire con olio l'interno della crepa, prima di introdurre il mastice, allo scopo di rendere tenace la presa tra le due superfici.
Consulta la Biblioteca Storica dell’Accademia: Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy [32_QQ_9]
Mastice per pietre
I composti a base di pece
vegetale per stuccare e riparare marmi e rivestimenti in pietra, si trovano
indicati in diversi documenti d’archivio. Molto interessante, per esempio, è
l'indicazione riferita ad un mastice a
base di pece greca, cera gialla, trementina e polvere di marmo, consigliata per
riparare le statue di marmo. Una mistura simile, presa dell’antico e utilizzata
dagli scalpellini per attaccare sottili lastre di marmo ad altre pietre allo
scopo di creare una specie di «impellicciatura» di marmo, è proposta
anche agli artieri dell’Ottocento. Nel medesimo periodo si riporta un composto
utilizzato “dagli antichi” come mastice per il marmo. Nella composizione
di questo mastice non si parla di “resina” e non di “pece”
riferendosi probabilmente alla sostanza ottenuta dalla purificazione della pece
greca, da unirsi con calcina viva, olio, sangue di bue e con una parte di un
non meglio definito smalto. La non ben identificata “resina” potrebbe essere la
colofonia (detta appunto pece greca), ottenuta dal residuo della distillazione
della resina che esce dal Pino silvestre, nell’intento di estrarre l’essenza di
trementina.
Si noti altresì, che nei testi di mezzo Ottocento, le ricette per mastici a base di pece non riportano più la dicitura «pece greca» bensì quella di “pece bianca”, probabilmente per distinguerla da quella di origine minerale, che era di colore nero.
Si riportano inoltre tre diverse indicazioni per composti, a base di “pece bianca”, da utilizzare per stuccare le superfici lavorate dei marmi, nelle quali si fossero accidentalmente prodotte delle scalfitture durante la lavorazione, oppure con difetti della pietra.
Consulta la Biblioteca Storica dell’Accademia: Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy [32_QQ_10]
Mastice (di calce viva e latte)
I composti a base di
latte e calce viva citati dalle fonti più antiche come glutini, e da quelle
della fine del XIX secolo come mastici, Il composto, già conosciuto nel
Medioevo e citato da Cennino Cennini come colla di formaggio, viene riproposto,
con alcune varianti, come «glutine tenacissimo», in tutta la manualistica
ottocentesca. Questo preparato corrisponde,
come già detto altr’ove, alla moderna colla di caseinato di calcio.
Alla fine del Settecento, nel capitolo relativo alle malte, un architetto indica due composti dalla presa immediata a base di gesso o calce viva, e derivati del latte.
Il primo è ottenuto mescolando calce viva o gesso con latte coagulato e bianco d'uovo, con l’intento di aumentare, nel composto, i caratteri di tenacità, plasticità e rapidità di presa.
Il secondo, più simile a quelli medievali, contiene solo formaggio macerato e calce viva, ed è consigliato come mastice per unire pezzi di vetro.
Molto simile è il mastice da vetraio composto da biacca, minio, olio crudo, impastati con burro liquefatto. Questo mastice aveva, secondo le fonti, la proprietà di non indurire completamente conservando perciò una certa plasticità che impediva ai vetri di spaccarsi in seguito alle tensioni derivanti dai cambiamenti di temperatura.
Mastice (con limatura di ferro e aglio)
I mastici contenenti succo
d'aglio sfruttano probabilmente l'azione di un olio essenziale, ottenuto dalla
macinazione degli spicchi di questo ortaggio, formato prevalentemente da
solfuri organici. Dal punto di vista chimico non si sa quale azione esso possa
esercitare quando viene usato come collante, è comunque dotato di una certa
capacità adesiva e di una modesta azione fissante.
A tal proposito la tradizione è ben radicata. Ancor oggi in Puglia è in uso fra i vecchi artigiani la pratica di stendere sulla pietra leccese cruda, ma levigata, il succo di una mezza cipolla selvatica, che cresce spontanea in quei luoghi e che i mastri locali raccolgono sin dalla più precoce primavera. Questa sativa, che nel vernacolo leccese vien detta "cipuddhazzu", vien tagliata in due parti lungo l'equatore, e viene lungamente strofinata e forzata all'interno delle porosità della pietra.
Il “cippuddazzu” leccese si può assimilare all’aglio, del quale ha le stesse funzioni ritentive e collanti come si ha dal fiele di bue.
I manuali settecenteschi consigliano il succo dell’aglio in mistione con polvere di vetro, sale marino e limatura di ferro come mastice per unire vetri e porcellane.
Un simile composto, secondo alcune fonti, può essere utilizzato per congiungere le lastre di pietra nei luoghi umidi e per rivestire le pareti in pietra da taglio destinate a essere dipinte con colori a olio. Questo mastice, definito “mastice di limatura” era preparato mettendo in infusione nell'aceto della limatura di ferro e del sale marino, ai quali si aggiungevano successivamente dell'orina e quattro teste d'aglio.
L’aglio, come già detto, ha probabilmente funzioni di collante, l’orina serve come alcalinizzante, poiché l'urea in essa contenuta si decompone col tempo in ammoniaca, svolgendo nella massa del manufatto la funzione di un moderno additivo aerante.
Consulta la Biblioteca Storica dell’Accademia: Francesco Milizia [24_ML_8]
Consulta la Biblioteca Storica dell’Accademia: Achille Lenti [40_LN_5]
Si osserva:
L’uso di additivi organici naturali si è protratto sino a tempi molto vicini a noi, fino a farsi cambiare quasi totalmente con prodotti di sintesi. Nonostante ciò, oggi, alcuni produttori di finiture superficiali insistono coll’antichissima pratica dell’aggiunta di materie naturali col fine di modificare le caratteristiche fisico-applicative delle malte e le finiture da muro (vedi Libro 6 – Le malte).